L’accoglienza al molo 21 dello scalo partenopeo
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(di Luca Marconi) Al porto di Napoli (molo 21) sono sbarcati oggi i 113 migranti, prevalentemente di nazionalità bengalese ma anche egiziani e pakistani, soccorsi dalla Life Support di Emergency in due differenti operazioni di salvataggio in mare. Tre sono minori non accompagnati. L’accoglienza era stata pianificata da giorni dal Comune di Napoli assieme alla Prefettura, l’Asl, la Capitaneria di Porto, Questura, Protezione Civile e Croce Rossa. I migranti in serata sono stati alloggiati nei Sai (Sistema Accoglienza Integrazione) secondo la ripartizione approntata dal ministero dell’Interno. «Il Comune è sempre pronto a garantire la migliore accoglienza – ha detto stamane l’assessore Chiara Marciani – con gli assistenti sociali, i mediatori culturali e gli enti del terzo settore, a chi affronta questi viaggi rischiando la vita inseguendo un futuro migliore. Con le cure necessarie e i servizi perfezionati negli ultimi anni con particolare riguardo per l’infanzia. Napoli da sempre è città dell’accoglienza e non solo in occasioni d’emergenza come questa ma nel lavoro quotidiano di approccio all’integrazione sostenibile».Si sono attivati al porto anche i volontari della Caritas Napoli. Ai migranti sbarcati gli operatori hanno offerto subito un pasto caldo. «Accogliamo questi fratelli – dice suor Marisa Pitrella direttrice Caritas Napoli – con l’affetto che si dà a chi vive in condizione di grave disagio. Sono stanchi, hanno trascorso giorni in mare e con la nostra presenza proviamo a regalargli un sorriso. Lo facciamo con un abbraccio e con lo spirito di accoglienza che solo questa città sa dare».Due operazioni di salvataggioI naufraghi sono stati messi in salvo in due differenti occasioni, un primo soccorso ha imbarcato 69 persone nella notte tra il 12 e il 13 dicembre in zona SAR libica, il secondo 44 persone la sera del 14 dicembre in zona SAR maltese. Le persone soccorse provengono da Bangladesh, Pakistan ed Egitto, «paesi devastati da conflitti, instabilità politica, povertà estrema e crisi climatica che non sono e non dovrebbero essere considerati sicuri», è il rapporto della Ong.Testimonianze di torture in Libia«Molti dei naufraghi hanno condiviso con noi le loro esperienze, soprattutto dei centri di detenzione libici, dove sono stati sottoposti a violenze di vario tipo – racconta Annachiara Burgio, mediatrice culturale a bordo della Life Support -. Alcuni riportano sulla propria pelle i segni dei trattamenti inumani e delle torture subite, molti hanno raccontato delle condizioni pessime in cui erano costretti a vivere in questi centri, vessati con costanti minacce e violenze e in condizioni igienico sanitarie praticamente assenti. Speriamo che tutti possano ricostruire il proprio percorso qui in Italia o in Europa».«Ho attraversato 3 volte, vorrei poter lavorare»Un ragazzo del Bangladesh ha raccontato la sua esperienza: «Nel mio Paese c’è molta corruzione e mancano le opportunità di lavoro, ci sono state anche gravi inondazioni che hanno distrutto la zona da cui provengo. Per questo molti giovani decidono di lasciare il Paese e queste sono le ragioni che mi hanno spinto ad andare in Libia. La vita lì è terribile. Dopo due mesi di lavoro sono stato arrestato per strada da milizie, hanno chiamato il mio datore di lavoro e lui è riuscito a farmi liberare. Ma comunque in Libia non ero libero, la mia vita era solo lavoro e dormire. Conoscevo i rischi del viaggio in mare per arrivare in Europa, ma come tutti speravo in una vita migliore nel Vecchio Continente. Ho provato ad attraversare il mare tre volte. La prima la Guardia costiera libica ci ha intercettati dopo quattordici ore di navigazione e ci ha portati in prigione, dove sono rimasto per un mese. La seconda, dopo un’ora di navigazione, il motore si è rotto e gli scafisti ci hanno riportati a riva. Dopo due mesi siamo saliti su un’altra imbarcazione, ero terrorizzato, ma questa volta ci avete soccorsi. Ora vorrei trovare un lavoro e pensare al mio futuro».Le 1190 vittime del 2025 e i respingimentiCon «1.190 tra morti e dispersi» solo da inizio anno ad oggi e oltre 26 mila persone in movimento intercettate e respinte in Libia (dati OIM), il Mediterraneo centrale si conferma «una delle rotte migratorie più letali al mondo» riferisce Emergency. «La Life Support stessa in questa missione è stata suo malgrado testimone di due possibili intercettazioni da parte di soggetti terzi e della cosiddetta Guardia costiera libica, con respingimenti verso le coste libiche, respingimenti illegali – commenta Jonathan Nanì La Terra, capomissione della Life Support -. E purtroppo sappiamo da testimonianze che il Mediterraneo resta protagonista non solo di migliaia di attraversamenti, ma anche d
