Paolo Mieli – Prima e Seconda Repubblica: cosa ci insegnano sul presente

di Furio Piccione

Paolo Mieli – Prima e Seconda Repubblica: cosa ci insegnano sul presente

| sabato 24 Mag 2025 - 11:28

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L’unità antifascista sulle cui basi si ricostruì l’Italia durò per un biennio (1945 e 1946). Sopravvisse al referendum del 2 giugno 1946 con cui per un margine di voti non straordinario gli italiani scelsero la formula della Repubblica. E riuscì a portare a termine la Costituzione nel 1947 nonostante in primavera per effetto della guerra fredda, dopo un viaggio di Alcide De Gasperi negli Stati Uniti, i comunisti di Palmiro Togliatti e i socialisti di Pietro Nenni fossero stati esclusi dal governo.
Alle elezioni politiche del 18 aprile 1948 gli elettori scelsero quello che sarebbe stato l’assetto del successivo quindicennio: un governo basato sulla Dc partito di maggioranza relativa, alleata a partiti laici minori: Partito liberale, Partito socialdemocratico, Partito repubblicano. Nel 1953 De Gasperi provò a varare un sistema maggioritario ma l’elettorato bocciò per pochi voti quel tentativo. Era iniziata nel ‘48 la stagione del «centrismo» che fu caratterizzata da un clamoroso quanto inaspettato boom economico. Stagione che si concluse tragicamente nel 1960 quando in un momento di difficoltà la Dc provò a inglobare nella maggioranza i voti del Movimento sociale italiano, il partito neofascista. Ma il governo guidato da Fernando Tambroni, travolto da manifestazioni popolari, durò pochi mesi.

Il centro, le maggioranze e il compromesso storico
Da quel momento la maggioranza provò ad allargarsi al Partito socialista italiano che dal 1956 si era andato staccando dal Partito comunista. Amintore Fanfani guidò i governi preparatori a questa intesa che nel dicembre del ’63 si concretizzò con il primo governo di centrosinistra guidato da Aldo Moro. L’alleanza non fu di semplice realizzazione, vennero varate alcune riforme di grande impatto, tra cui la programmazione economica, la scuola media unificata, la nazionalizzazione dell’energia elettrica. Ma produsse crescenti fibrillazioni che nell’estate del 1964 portarono il Paese sull’orlo di una svolta autoritaria. Da quel momento il centrosinistra basato sull’accordo tra Dc e Psi non ebbe più la forza che aveva avuto nella sua fase iniziale. A destabilizzare la situazione fu anche il fallimento del tentativo di unificazione tra Partito socialista e Partito socialdemocratico (1966-1969).

Dalla fine degli anni Sessanta si mise in moto un tentativo di ricostituzione del cosiddetto arco costituzionale, che implicava il progressivo coinvolgimento del Partito comunista italiano nell’area di governo. Il nuovo segretario del Pci Enrico Berlinguer fece passi importanti in quella direzione elaborando la teoria del «compromesso storico», prendendo posizione per l’«eurocomunismo» (un tipo di comunismo distinto da quello sovietico) e accettando che l’Italia restasse nella Nato (1976). Ne nacque in quello stesso ’76, dopo elezioni in cui la Dc era riuscita a conservare la maggioranza relativa, un governo presieduto da Giulio Andreotti sostenuto dai voti comunisti. Ma il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro che di quel progetto era un punto di riferimento (1978) segnò la fine di quella stagione. A cui contribuì un ritrovato dinamismo del Psi guidato da Bettino Craxi che mal sopportava la marginalizzazione dei socialisti da parte di Dc e Pci.

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