"La scadenza è definitiva, ma non è al cento per cento, perchè se dovessero chiamarmi e fare un’offerta che mi piace, allora faremmo un accordo". Ha commentato cosi’ Donald Trump, durante la cena con il premier israeliano Netanyahu, le sue ultime mosse sui dazi, che hanno visto l’invio di lettere, rigorosamente pubblicate su Truth, a quattordici paesi, avvisati dell’entrata in vigore, a partire, appunto, dal primo agosto, di tariffe sull’export verso gli Stati Uniti, con aliquote che variano dal venticinque (per Giappone e Corea del sud) al quaranta per cento (per Laos e Myanmar).
"Abbiamo già incassato oltre cento miliardi e non abbiamo ancora iniziato", ha aggiunto Trump, mentre già fioccavano le reazioni alle sue decisioni, a cominciare da quella di Tokyo, che le ha definite deplorevoli. La Cina, invece, ha promesso la difesa dei propri diritti dalla pressione dei dazi americani, in risposta alle minacce trumpiane di colpire con tariffe aggiuntive del 10% coloro che dovessero allinearsi alle politiche dei Brics.
Intanto, la firma, da parte del presidente statunitense, di un nuovo ordine esecutivo ha spostato la scadenza per l’entrata in vigore delle tariffe dal nove luglio al primo agosto. E questo per tutti, anche per chi non ha ricevuto alcuna lettera. La finestra negoziale dunque si allunga, soprattutto per l’Unione Europea, impegnata in complicatissime trattative per giungere ad un accordo quadro che potrebbe contemplare dazi del dieci per cento, con esenzioni per alcuni settori strategici.
La telefonata di domenica tra Trump e Von der Leyen ha contribuito a diffondere un certo ottimismo, ma l’ipotesi di un no deal resta comunque concreta.
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