Biennale Danza, Fabre e Baryshnikov tra corpo, identità e sguardo

di Redazione

Biennale Danza, Fabre e Baryshnikov tra corpo, identità e sguardo

| mercoledì 28 Lug 2021 - 13:02

Venezia, 28 lug. (askanews) – Un corpo iconico per ragionare su che cosa sia un corpo e, di conseguenza, che cosa siamo e in che modo esistiamo noi. L’artista belga Jan Fabre ha portato a Venezia, per la Biennale Danza, la propria installazione filmica "Not Once", interpretata dal leggendario ballerino Mikhail Baryshnikov, la cui immagine viene manipolata, duplicata, sezionata, utilizzata per creare la drammaturgia del racconto, in una parola viene usata.

Il corpo e lo sguardo: nella storia di un personaggio che cerca di capire se stesso attraverso diverse stanze di un’esposizione nella quale una fotografa lo ha immortalato mettendo in evidenza ogni volta diverse parti del suo organismo. Divenuto una sorta di statua vivente, l’uomo attraversa le stanze e il suo corpo continua a mutare, fino ad arrivare al punto, quando il percorso sembrava invece completato, di perdere completamente se stesso e così andare in pezzi. Dentro e fuori la metafora. E così assistiamo a mutazioni, a trasformazioni, a diverse materie che si sostituiscono alla pelle, che passa da essere l’organo principale del tatto, e quindi proprio di quel "primo senso" al quale è dedicata la Biennale Danza, a strumento pericoloso, anche ricoperto di schegge, come al di là di uno specchio frantumato.

Il lavoro di Fabre è potente e l’interpretazione di Baryshnikov ne è il motore centrale, tutto teso a essere qualcosa, a performare qualcosa che però, in fondo, sembra essere alla fine, come ha detto l’artista, solo la consapevolezza che il nostro corpo esiste esclusivamente nel modo in cui altri lo guardano. E senza l’occhio esterno non rimane nulla, solo una maschera che pian piano il tempo sgretola, nonostante il racconto, inesausto, che da quel corpo continua ad arrivare allo spettatore. Come se la voce venisse dallo spazio profondo, da un cosmonauta disperso tra le stelle. Stelle che però si rivelano essere molto più vicine, si rivelano appartenere al nostro stesso mondo. Perché la distanza parte da dentro di noi. Da alcuni bisogni fondamentali.

Così, in quella disperata ricerca della fotografa, della sua creatrice, il modello-uomo esprime anche la sua tensione amorosa verso la donna, che resta però irraggiungibile, mentre la sua anima probabilmente si è persa lungo i sentieri di quello stesso desiderio.

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